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Dire addio alla verità?

Num°04 SOPHISTS

In un celebre passo del Fedro, Socrate descrive l’arte oratoria del suo tempo (le «ragioni del lupo», le aveva chiamate subito prima) in questi termini:

«Infatti, senza alcun dubbio, cosa che abbiamo detto anche all’inizio di questo discorso, chi si accinge a diventare oratore in maniera adeguata, non occorrerebbe che sia a conoscenza di verità intorno a cose giuste e buone, o anche intorno agli uomini che per natura ed educazione sono tali. Infatti, nei tribunali, della verità intorno a queste cose non importa proprio niente a nessuno, ma importa ciò che è persuasivo (τούτων ἀληθείας μέλειν οὐδενί, ἀλλὰ τοῦ πιθανοῦ). E questo risulta essere l’eikos, e ad esso deve attenersi chi intende parlare con arte. E, anzi, talvolta non si devono esporre neppure i fatti medesimi, qualora non si siano svolti in modo corrispondente all’eikos, ma [bisogna raccontare] soltanto ciò che è eikos (…); e, in ogni caso, colui che parla deve seguire l’eikos e dire addio alla verità (λέγοντα τὸ δὴ εἰκός διωκτέον εἶναι, πολλά εἰπόντα χαίρειν τᾠ ἀληθεῖ). È appunto questo eikos che, trovandosi da un capo all’altro del discorso, porta a compimento tutta quanta l’arte».

Al centro di questa descrizione — malevola e polemica e tuttavia per certi versi realistica — sta la nozione di eikos, solitamente tradotta in questi contesti con verosimile. Che tale nozione svolgesse un ruolo effettivamente cruciale, non solo nella pratica ma anche nella teoria retorica dell’epoca, è difficile da contestare. Discutibile è invece la conseguenza che Socrate trae dalla constatazione di questa centralità. Siamo davvero sicuri che seguire l’eikos implichi necessariamente dire addio alla verità? La mossa argomentativa è chiara: l’eikos, termine chiave dell’intero attacco, viene prima identificato con il persuasivo (πιθανός) e quindi contrapposto al vero (ἀληθής). La stessa opposizione era stata utilizzata poco prima da Socrate quando aveva affermato che Tisia e Gorgia «videro come sono da tenere in pregio più che non le cose vere quelle eikota». Ma quanto è accettabile questa radicale scissione tra persuasivo ed eikos da un lato e verità dall’altro? Per provare a rispondere a questa domanda dobbiamo guardare più da vicino la nozione di eikos, la cui complessità non è adeguatamente restituita da nessuna delle due traduzioni più diffuse, verosimile e probabile.

Nel momento in cui Platone scrive il Fedro, la parola eikos era già un termine specialistico del lessico retorico. Ne è una chiara testimonianza, tra le altre, un altro passo dello stesso dialogo, nel quale Socrate cita appunto gli eikota tra gli argomenti che erano trattati nei «libri scritti intorno all’arte dei discorsi». Si tratta, come risulta con maggiore chiarezza dai trattati di epoca successiva (soprattutto la Rhetorica ad Alexandrum e la Rhetorica di Aristotele)di un tipo di prova (πίστις) che fa appello — per usare le espressioni della Rh. Al. — al «modo abituale di comportarsi degli uomini»ed è «ciò di cui, quando lo si dice, gli ascoltatori hanno esempi».

Dire addio alla verità?

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