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Sofisti e Avvocati, I

Num°04 SOPHISTS

1. L’avvocato-sofista. E’ probabile che il soggetto oggi più frequentemente apostrofato come ‘sofista’ sia l’avvocato. E, quando questo avviene, si può stare certi che l’espressione non sia usata nella sua originaria valenza positiva di uomo sapiente, di persona che dispensa saggezza, ma in quella decisamente negativa che la parola ha successivamente assunto: uomo incline a discorsi ingannevoli, pronto a mettere la sua capacità argomentativa (dialettica e retorica) al servizio di chi lo retribuisce, senza riguardo ad esigenze di verità e di giustizia.

La spiegazione – che, come diremo, è ben lungi dall’essere una giustificazione – è abbastanza semplice. La figura dell’avvocato sembra imperniata sulle due caratteristiche dalla cui convergenza deriva l’accezione negativa di sofista: l’esercizio della parola, intesa come arte dialettica e retorica; la disponibilità a sostenere le tesi e le prospettive che più giovano al cliente, anche se in contrasto con gli ideali di giustizia e verità.  Ora non è certo sulla prima caratteristica che si può articolare un giudizio negativo sull’avvocato. Il processo  sia penale sia civile è un luogo di parola dove al cortocircuito della violenza che deriverebbe dall’esercizio arbitrario delle ragioni si sostituisce la contrapposizione delle ragioni in attesa della pronuncia del giudice.  L’essenza della giurisdizione (iurisdictio) sta proprio nella parola che dice il diritto in situazioni di conflitto; Cedant arma togae è il motto dello stato di diritto; è, quindi, un pregio dell’avvocato quello di essere, nel senso nobile dell’espressione, un professionista della parola (che, poi, vi siano anche ciarlatani è un fatto contingente che riguarda ogni professione).

Diverso è il discorso in ordine al secondo profilo, ossia alla circostanza che l’avvocato eserciti la sua funzione a tutela degli interessi del cliente che possono essere o, per lo meno, spesso appaiono all’opinione pubblica in rapporti conflittuali con le esigenze di verità e di giustizia. Da qui nasce la scomunica di Platone che condannava l’avvocato dedito agli interessi del cliente contrapponendolo al filosofo ricercatore della verità. La storia ha ampiamente riabilitato la figura dell’avvocato, la cui funzione è considerata essenziale in una società democratica quanto quella del magistrato, giudice o pubblico ministero; l’assenza dell’avvocato nel processo sarebbe il sicuro segno di un imbarbarimento, dal quale uscirebbe delegittimato lo stesso potere giudiziario. Nondimeno, di quell’antico stigma si avverte ancora periodicamente l’eco quando si parla dell’avvocato come di un azzeccagarbugli, per l’appunto di un sofista, che con vari stratagemmi ritarda il corso della giustizia o riesce a sottrarre alla giusta condanna l’autore di gravi illeciti. Il paradigma di questo fenomeno, che preoccupa non poco l’opinione pubblica, si realizza quando la difesa con tattiche dilatorie o con la presentazione di richieste manifestamente infondate riesce a far decorrere il tempo per la prescrizione del reato, assicurando così l’impunità al colpevole. In questo, come in altri casi, sembra aprirsi una forte tensione fra le istanze di giustizia e di verità a cui obbedisce il processo e la funzione ‘sofistica’ esercitata dall’avvocato, sulla quale vale la pena interrogarsi. Salvo concludere, come vedremo, che proprio l’avvocato fornisce ottimi spunti per riabilitare la biasimevole figura del ‘sofista’; e che forse la condanna platonica dell’avvocato è un segno delle tendenze autoritarie e antidemocratiche del grande filosofo ateniese.

Sofisti e Avvocati, I

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